Quando, all’inizio del suo primo mandato, Ursula von der Leyen dichiarò che la politica di coesione avrebbe dovuto comunicare meglio con i territori, non prevedeva certamente il florilegio di docu-mentazione prodotta dalle Istituzioni europee e non solo, alla fine dei suoi primi cinque anni di Presidenza della Commissione. In un quadro che, a seguito del nono report sulla coesione, ha visto infatti ripetuti pronunciamenti sia istituzionali che degli stakeholder, si inserisce la relazione della Corte dei Conti europea sui capitoli di spesa della coesione per il periodo di programmazione 2014-2020, le cui risorse ammontavano a 409 miliardi di €, più di un terzo del bilancio dell’Unione. Il quadro di garanzia per la politica di coesione ha certamente contribuito a ridurre il livello complessivo di errori dal 2007, ma non è stato abbastanza efficace da portarlo al di sotto della soglia di rilevanza del 2% stabilita dai regolamenti. Per quanto le autorità di gestione degli Stati membri svolgano un ruolo fondamentale nel garantire la regolarità della spesa per la coesione, i loro controlli non sono ancora sufficienti a mitigare l’elevato rischio di errore. I revisori, infatti, stimano che circa la metà degli errori aggiuntivi per il periodo 2014-2020 possa essere attribuita ad azioni o omissioni delle stesse autorità di gestione. Diversa la valutazione sulle autorità di audit: la Corte ha rilevato miglioramenti nella loro capacità di individuare le irregolarità relative agli appalti pubblici, ma persistono altre tipologie di errori, quali i progetti non ammissibili, la non conformità alle norme sugli aiuti di Stato e alle norme nazionali e comunitarie sugli appalti pubblici. A livello nazionale, infine, 9 Stati membri (Grecia, Germania, Italia, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Spagna, Romania, Ungheria), che rappresentano oltre il 76% della spesa per la coesione, hanno contribuito al 91% del livello di errore stimato per il periodo in questione.

Fonte: MosaicoEuropa 14/2024